Supportiamo l'eroica resistenza del popolo Tibetano.Uno dei principi fondamentali della Carta Olimpica recita:
"Qualunque forma di discriminazione nei confronti di paesi e persone per motivi razziali, religiosi, politici, di sesso e per altri aspetti è incompatibile con il Movimento Olimpico" (articolo 5)."
Come d'uso dal 1993, la Cina in quanto paese ospite delle Olimpiadi, lo scorso 31 ottobre ha introdotto una Risoluzione all'ONU dal titolo: "Costruire un mondo migliore e pacifico attraverso lo sport e gli ideali Olimpici" intesa a dare sostanza agli ideali Olimpici di pace, amicizia, comprensione globale: il fatto che proprio la Cina quest'anno abbia introdotto una tale Risoluzione è una lampante contraddizione con l'occupazione militare e la brutale repressione in Tibet.
Il Tibet come la Birmania: si stanno verificando gli stessi soprusi, la stessa soppressione delle libertà umane, civili e religiose. In Tibet, come in Birmania, le rivolte di massa sono guidate dai monaci buddhisti, saldando la componente religiosa della società a quella politica per chiedere un cambiamento di regime. Nei filmati d'archivio delle manifestazioni del 1988 in Tibet vediamo ovunque violenza, pestaggi, sangue, poliziotti che picchiano monaci, li prendono a bastonate, li trascinano fuori dai monasteri.
I monaci tibetani conoscono da tanto tempo la repressione militare. I carri armati dell'esercito cinese hanno iniziato la drammatica invasione del territorio tibetano sin dai primi anni '50, soffocando nel sangue l'eroica resistenza tibetana, e stroncando tutti i tentativi di dialogo.
La Cina è il principale partner economico, politico e militare della giunta dei generali di Rangoon. La Cina già controlla l'economia di tutto il nord della Birmania, dove addirittura la moneta corrente è lo Yuan cinese, i contratti di telefonia mobile si pagano a Pechino e non a Rangoon.
Spesso Tibet e Birmania, nell'immaginazione occidentale sono considerati paradisi turistici, luoghi d'evasione e di sogno, con la complicità dei mezzi di "distrazione di massa" e dei tour operator che incoraggiano un viaggiare inconsapevole purché lucroso.
Ma per i tibetani il loro è un Paese oppresso da più di mezzo secolo di brutale dittatura militare che reprime violentemente ogni forma di dissenso. I tibetani, sotto il regime cinese, sono privati di tutti quei diritti che diamo per scontati e garantiti, quali la libertà di parola e di assemblea. Chiunque venga sorpreso ad esercitare questi diritti viene messo in prigione.
A seguito della rivolta popolare di Lhasa del 1959, soffocata nel sangue, che ha visto l'esilio del Dalai Lama e di migliaia di tibetani, circa un milione e mezzo di tibetani sono morti per opera dei cinesi, in un'atroce campagna di pulizia etnica che passa anche attraverso il corpo delle donne tibetane, le quali sono sottoposte a sterilizzazioni di massa, e nel caso siano incinte ad aborti forzati operati da personale medico cinese. A tale scopo, nei villaggi più remoti dove non esistono strutture ambulatoriali in grado di effettuare tali pratiche scellerate, vengono inviati automezzi attrezzati con sale operatorie per effettuare sterilizzazioni e aborti forzati.
In Tibet il genocidio culturale (la distruzione delle università monastiche, dei templi e del patrimonio artistico-architettonico, assieme all'emarginazione linguistica) è oggi accompagnato da un etnocidio per diluizione tramite la politica colonialista del trasferimento di popolazione cinese di etnia Han, migrante dalla sovrappopolata Cina verso il Tetto del Mondo, rendendo così i tibetani una insignificante minoranza nel loro stesso territorio: i cinesi già superano numericamente i tibetani, 8 milioni contro 6 milioni.
La ferrovia Golmud - Lhasa, dal disastroso impatto ambientale, facilita questo processo che vede i tibetani discriminati e svantaggiati nello "sviluppo" e "modernizzazione" che stanno correntemente trasformando l'economia e il paesaggio tibetani, favorendo i coloni cinesi e affidando loro tutti i ruoli decisionali.
La repressione delle libertà religiose è arrivata a tal punto che il semplice possesso di una foto del Dalai Lama è considerato un crimine. Il reato d'opinione viene generalmente punito con imprigionamenti arbitrari, atroci torture fisiche e psichiche, condanne a morte. Il numero dei dissidenti in prigione in Cina sono però un "segreto di stato".
Non si può continuare a chiudere gli occhi davanti alle drammatiche violazioni dei Diritti Umani dei popoli tibetani e birmani, ma anche di quelli Uighuri, Mongoli, dello stesso popolo cinese Han, dei praticanti della Falun Gong, pur di non disturbare manovre e accordi economici con la Cina, in una totale mancanza di etica della politica e dell'economia.
Certo la Cina, paradiso terrestre del capitalismo, che di comunista ha solo il nome e il sistema di potere a partito unico, ha armi micidiali nella competizione globale e ha portato nel breve tempo grandi vantaggi alle multinazionali.
In questa corsa ai profitti gioca un ruolo determinante lo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo o addirittura a costo zero (detenuti nei campi di concentramento detti LAOGAI costretti a lavori forzati, anche 15 ore al giorno senza adeguata alimentazione, moltissimi muoiono per la fatica e la denutrizione). In Tibet vi sono almeno 24 Laogai dove spesso i Tibetani vengono uccisi ed i loro organi venduti sul mercato nazionale ed internazionale degli organi umani!!!
La dilagante sudditanza da parte di numerosi governi occidentali, (primi fra tutti quello italiano, con il recente vergognoso episodio del rifiuto da parte del Presidente del Consiglio Romano Prodi di ricevere il Dalai Lama), è sostenuta o meglio imposta da quei potentati economici che fanno affari d'oro con la Cina, ignorando deliberatamente i principi di libertà, democrazia e rispetto dei più elementari diritti umani. Tale criminosa connivenza sta inoltre svalutando il valore degli operai a livello globale. Come sostiene Han Dongfang, sindacalista cinese arrestato e torturato nel 1989 "... nessuno può competere con la Cina, perché nessuno può competere con la totale mancanza di diritti".
La feroce repressione in Tibet e il genocidio sistematico e programmatico operato ai danni della sua popolazione, gli orrori della dittatura militare birmana largamente appoggiata e supportata dal governo cinese, il giro di vite sul terreno dei Diritti Umani e Civili....... Sta crescendo un sempre più consistente movimento di opinione pubblica a livello sia nazionale che internazionale per il boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino.
La Cina sta giocando nel nostro mondo, e noi dobbiamo farla giocare secondo le regole del nostro mondo a partire dal trattamento dignitoso dei lavoratori e dall'apertura delle comunicazioni, la libertà di espressione e di pensiero, l'auto-determinazione, l'abolizione della pena di morte.
In conclusione, va sottolineato il legame culturale tra il popolo tibetano e quello birmano, profondamente permeati dal messaggio del Buddha della Responsabilità Universale, dell'Interdipendenza Reciproca, entrambi conseguentemente portatori di una cultura politica globale di pace e dialogo.
Il problema del Tibet e quello della Birmania devono essere al centro di ogni incontro a livello internazionale.
Supportiamo con ogni mezzo l'eroica resistenza del popolo Tibetano, non permettiamo che la sua lotta guadagni per qualche tempo l'attenzione dei media per poi cadere nuovamente nell'oblio, come già accaduto in Birmania.
Non rimaniamo in silenzio. Perché il silenzio è sempre colpevole.
E' possibile inviare una e-mail di "Petizione" all'Ambasciatore Cinese in Italia (fac simile):Sig. Ambasciatore Dong Jinyi
Ambasciata Cinese
Via Bruxelles, 56
00198 Roma ItaliaMail:
chinaemb_it@mfa.gov.cnFax 0039 06 85352891
Oggetto:
Libertà per il Popolo TibetanoEsprimiamo la nostra preoccupazione per gli incresciosi fatti che stanno accadendo a Lhasa in Tibet con la feroce e ingiustificata repressione di manifestanti pacifici che chiedono il giusto riconoscimento del loro diritto all'Autonomia nella loro patria e terra Tibetana.
Chiediamo che la repressione cessi e che si apra un dialogo con le popolazioni locali per il riconoscimento dei loro diritti di vivere in pace e per il rispetto della loro cultura e tradizione.